I Moriscos

Con il termine Moriscos vengono indicati i Musulmani di Al Andalus che furono costretti a convertirsi al cristianesimo tra il 1499 e il 1526 ed i loro discendenti che rimasero in Spagna sino all’espulsione del 1609-1614; tuttavia esso viene riferito anche ai rifugiati dopo il loro arrivo nel Maghreb. I Mudejar sono invece i Musulmani che, dietro pagamento di un tributo, continuarono a vivere nei territori conquistati dai Cristiani; erano chiamati, prima del XV secolo, Mori o Saraceni. Il termine indica quanti non emigrarono davanti all’avanzata cristiana e si trovarono a vivere sotto una giurisdizione non islamica; può riferirsi a individui, comunità o formazioni politiche. Se in un primo momento, dopo la caduta di Granada, sembrò che si potesse costituire una stabile minoranza mudejar con l’accordo dei nuovi governanti, la politica di conversioni forzate attuata dall’arcivescovo di Toledo Francisco Jiménez de Cisneros provocò una rivolta che, nata nel quartiere dell’Albacín a Granada nel dicembre del 1499, si estese alle Alpujarras e fu repressa nel sangue due anni dopo. Un’altra insurrezione scoppiata nelle Alpujarras nel 1568 e sedata due anni dopo ebbe come esito la deportazione di 84.000 Moriscos in Castiglia. L’emigrazione, già iniziata dopo la caduta di Granada nel 1492, continuò tra mille difficoltà, dal momento che quanti erano intenzionati ad imbarcarsi potevano farlo solo dai porti del golfo di Biscaglia ed erano costretti ad abbandonare quasi tutti i propri beni. Tra minacce, divieti, balzelli, repressioni e battesimi forzati sotto il controllo dell’Inquisizione, moltissimi gruppi di Mudejar di Navarra e di Aragona continuarono comunque ad emigrare finché nel 1609, nel timore che essi potessero sviluppare relazioni col Marocco, la Francia, l’impero ottomano, i pirati, le autorità spagnole decisero l’espulsione di tutti i Moriscos, che venne attuata in varie fasi sino al 1614.

La penisola tingitana, per la sua vicinanza alla Spagna, risentì i contraccolpi degli eventi bellici e diplomatici che condussero alla Reconquista del califfato di Cordova e quindi dell’intera penisola iberica da parte dei re cattolici. L’occupazione portoghese e spagnola dei porti sullo Stretto non impedì lo sbarco in Marocco (nel porto di Tétouan e, dopo il 1549, a Ksar Sghir) degli esuli musulmani ed ebrei che in gran numero abbandonarono la penisola iberica, segnatamente l’Andalusia. Questo esodo massiccio ebbe varie fasi e città come Tétouan e Chefchaouen divennero i centri di accoglienza temporanea per quanti erano diretti verso le regioni centrali e meridionali del Marocco, o, in molti casi, l’approdo definitivo degli esuli, che mantennero intatte le proprie tradizioni andaluse: i loro abitanti non abbandonarono mai la speranza di tornare in Al Andalus, conservando per più generazioni le chiavi delle abitazioni e i titoli delle loro proprietà; Tétouan, la “colomba” dei poeti, sarà chiamata Figlia di Granada. I Moriscos conservarono l’uso del castigliano, accanto all’arabo, la musica, l’architettura pubblica e privata, gli abiti, i gioielli, la cucina e costituirono la raffinata élite intellettuale che diede al paesaggio urbano e alla cultura di tali centri la propria impronta che ancor oggi li caratterizza. Molti degli Andalusi immigrati furono critici nei riguardi delle autorità centrali, alle quali rimproveravano l’indifferenza nei riguardi della tragedia dei Musulmani spagnoli e i floridi rapporti commerciali che intrattenevano con gli Europei; quanti si erano rifugiati in zona turca (Tunisia), avevano trovato un’accoglienza più calorosa da parte dei correligionari, pertanto l’integrazione in Marocco fu per alcuni piuttosto difficile. D’altra parte ad essi si rimproverava di aver subito l’influsso cristiano, dal momento che parlavano più volentieri lo spagnolo e conoscevano superficialmente l’Islam. Alcuni gruppi di rifugiati si diedero alla pirateria, attività molto remunerativa, facendo base a Salé (Rabat), ove fondarono una repubblica, o alla foce dell’Oued Martil presso Tétouan.    

Tétouan, menzionata dalle fonti a partire dall’inizio dell’VIII secolo per le tombe venerate che erano meta di pellegrinaggi, sorge sulle pendici del Djebel Darsa lungo l’Oued Martil, non lontano dalla fortezza romana di Tamuda. Rinforzata dai Merinidi agli inizi del XIV secolo come base di operazioni contro Ceuta e attaccata a varie riprese dai Portoghesi, fu da essi praticamente distrutta nel 1437 e venne poi rifondata da Sidi Al Mandhri, un personaggio quasi leggendario fondatore di una dinastia, che era giunto da Granada con la prima ondata di esuli Mudejars e Moriscos. La città godette di una certa autonomia ed ebbe con l’autorità centrale una sorta di rapporto di vassallaggio attenuato dalla distanza. Il nipote di Sidi Al Mandhri sposò Sayyda Al Horra, la figlia del capo di Chefchaouen, la quale governò Tétouan per 17 anni. L’avvento al potere dei Saadidi pose termine alla dinastia dei Mandhriti alla quale successero i Naqsi, quindi i Rifi. Intanto da Al Andalus era giunta una seconda potente ondata di Moriscos, circa 10.000, cacciati definitivamente dalla Spagna all’inizio del XVII secolo. Il governo dei Rifi, il cui fondatore era stato a capo delle milizie berbere che collaboravano alla riconquista delle piazzeforti cristiane (mujahidin), coincise con il periodo di maggior splendore della città durante il regno di Mulay Ismail. I Rifi divennero una sorta di viceré del Nord e si arricchirono partecipando alla pirateria e ottenendo l’appalto di tutto il commercio della cera e del cuoio della città. Il porto di Tétouan, l’unico che non fosse in mano straniera tra Rabat e l’Algeria, costituiva per il Marocco - e in particolare per Fès - la principale porta verso l’Europa: esso divenne il più importante centro di smistamento di armi e munizioni per queste imprese belliche, ma anche riparo di corsari e un imprescindibile scalo per i commerci a lungo e breve raggio. A Tétouan giungevano le ambascerie dall’Europa, insieme alle missioni diplomatiche e religiose per il riscatto dei prigionieri che da qui venivano ricondotti in Europa in lunghe carovane. Gli Ebrei immigrati avevano rapporti commerciali con parenti e correligionari di Livorno, Amsterdam e Londra; nel 1629 vi fu istituito il consolato francese, nel 1657-58 quello inglese. La città profittava di tutte queste attività e divenne presto la capitale culturale e religiosa della regione, sede di commerci e di un fiorente artigianato. L’introduzione delle confraternite religiose, rigettate in un primo tempo, aveva fatto affluire nella città numerose personalità mistiche e intellettuali sin dal XVII secolo, favorendone lo sviluppo culturale. Spodestato da alcuni notabili andalusi, Ahmed Al Rifi riprese il potere e ampliò i propri domini a tutto il Nord Est del Marocco: Tangeri, Larache, Chefchaouen, Ouezzane e Ksar El Kebir; intraprese una politica di edilizia pubblica e si fece costruire uno splendido palazzo. Ma questa indipendenza di fatto venne a cessare con l’avvento al potere del sultano alawita Mohammed Ben Abdallah. Ebbe così fine il periodo d’oro della città, di cui la coesistenza religiosa fu, com’era stato in Al Andalus, un elemento-chiave.