Chefchaouen/Chaouen nel periodo degli interessi ispano-portoghesi
Il nome della città deriva da un termine amazigh (berbero) che significa “due corna”, allusione ai due picchi montuosi che la sovrastano e che superano i 2000 m di altitudine. L’impianto urbano sfrutta al meglio il pendio della collina; pur inserendosi nella tradizione marocchina, la città mostra forti influssi andalusi nei tetti di tegole a doppio spiovente, nella colorazione indaco della parte bassa dei muri, nella decorazione degli ingressi, protetti da tettoie spioventi. Anche le case presentano caratteristiche peculiari, come uno spazio aperto aggiunto al patio (qa’ada) e circondato talvolta da una banchina, o il granaio sotto il tetto, utilizzato, come altrove le terrazze, per essiccare frutta. La qasba fu edificata nel 1471/72 sul fianco del Jebel Tissouka, a 600 m di altitudine, presso una ricca sorgente, assieme al quartiere di Suika, alla Grande Moschea (Jami’al Kebir) e ai bagni pubblici che hanno dato il nome alla piazza centrale (Uta Al Hammam); in seguito furono costruite le mura, provviste di sette porte. Oltre che per i combattenti e gli abitanti della regione, la cittadella costituì un polo di attrazione per le famiglie musulmane ed ebree esuli dall’Andalusia dopo la presa di Granada nel 1492, che si stabilirono nei pressi della cinta, in un quartiere di stile granadino che prese il nome di Al Andalus. Il forte incremento demografico causato dall’afflusso dei profughi andalusi sino al XVII secolo portò una notevole estensione dell’abitato e la creazione di cinque nuovi quartieri. La ricchezza della città si fondava sull’agricoltura del circondario, che produceva cereali, frutta, olive, lino: mulini ad acqua e gli oleifici furono a lungo il suo orgoglio.