Merinidi

I Merinidi erano una tribù berbera del gruppo Zenata, originaria degli altipiani tra Figuig e Sijilmasa che si sarebbe spostata, sotto la pressione araba, nelle pianure dell’attuale Algeria nord occidentale. Pastori, diedero il nome ad una lana pregiata che producevano (merinos) e che esportarono in Europa sino agli inizi del XVI secolo tramite mercanti genovesi; si deve forse a loro l’introduzione delle pecore merinos nella penisola iberica. Nel corso del XIII secolo cominciarono a sostituirsi agli Almohadi: prima nelle regioni che attraversavano, quindi in alcune città, sino a conquistare i centri maggiori: Meknès, Fès, Sijilmasa e infine, nel 1269, Marrakesh. Contrariamente alle dinastie che li avevano preceduti non furono mossi da zelo religioso, ma cercarono comunque di garantire un governo giusto ai musulmani, ciò che gli Almohadi non erano più in grado di fare. Oltre che dal visir e da vari funzionari, il sovrano è affiancato dal consiglio dei capi delle tribù merinidi, che mantiene la struttura consultiva tribale berbera.

La prima fase del loro regno, sino al 1358, fu caratterizzata dalla stabilità del governo, dall’espansione delle città e dal dinamismo militare: tre campagne contro i re di Castiglia garantirono ai Merinidi una posizione di primo piano nello scacchiere diplomatico del Mediterraneo occidentale. Contrasti tra la monarchia, che sfruttava le ricchezze del paese tramite un complesso sistema fiscale e i particolarismi berberi si focalizzarono intorno alla città di Tlemcen, più volte conquistata e persa. Poco a occidente di essa si stabilì il confine tra il Marocco e l’Algeria. Gli scrittori dell’epoca forniscono interessanti notizie sull’esercito: la sua forza d’urto pare fosse costituita dalla cavalleria zeneta; esso comprendeva anche cavalieri di altre tribù, arcieri andalusi, un contingente di cristiani reclutati nella penisola iberica, con curdi e neri. Il punto debole era costituito dalla flotta, nettamente inferiore a quella aragonese. L’attività edilizia dei Merinidi, in questa prima fase, è sorprendente: oltre alla costruzione della nuova Fès, che diviene la capitale, e di altre città, essa si manifesta nell’edificazione di arsenali, a Ceuta e a Salé, di infrastrutture, di fortificazioni, di fontane, di giardini, ma soprattutto di edifici religiosi splendidamente decorati. Per far fronte ad una opposizione autonomista urbana che trova come portavoce l’elemento religioso, i Merinidi costituiscono proprie scuole religiose: viene così introdotta in Marocco la madrasa. Quattro edifici di questo tipo vengono edificati a Fès e uno a Salé: l’architettura, gli stucchi, le altre decorazioni in legno e ceramica costituiscono il vertice della produzione artistica di questo periodo. Molte donazioni di beni immobili o di terreni vengono compiute in favore di istituzioni pubbliche da sovrani o membri della loro famiglia. Il malikismo torna ad essere il culto ufficiale e il sufismo si diffonde sin nelle campagne assumendo un carattere particolare noto come marabuttismo. Se la società di questo periodo mantiene le strutture e i caratteri dell’età almohade, si assiste ad una arabizzazione della componente pastorale, di recente islamizzazione, mentre nelle città, già islamizzate e arabizzanti, l’aristocrazia familiare prevale sull’appartenenza tribale. Qui, oltre ad Arabi e Berberi, sono numerosi gli Andalusi e non mancano i cristiani, commercianti, sacerdoti e militari, specialmente nelle città costiere, mentre la comunità ebraica autoctona si è arricchita con l’apporto di immigrati dalla Spagna. La ricchezza proviene dall’agricoltura, dall’artigianato e dal commercio: quello con i paesi cristiani aveva il proprio fulcro nel porto di Ceuta e in altri della costa atlantica, quello con l’Africa nera passava per le grandi vie carovaniere ed aveva come centro principale Sijilmasa. La produzione letteraria in epoca merinide è abbondante e varia, spaziando dalla poesia alla biografia, dall’agiografia alla filosofia alla geografia, con Ibn Battouta e Al Abdari; grande sviluppo ha la storiografia, con opere di ampio respiro come quelle di Ibn Idhari e Ibn Khaldoun. 

Il declino della dinastia inizia intorno al 1358 e si prolunga per poco più di un secolo, fino alla sua estinzione nel 1465; è causato in primo luogo da lotte per la successione, con l’intervento di tribù arabe e berbere, che provocano il passaggio del potere nelle mani dei vizir. L’allentarsi del potere centrale favorisce dal canto suo il distacco delle regioni più periferiche del sud, mentre a nord l’attività dei pirati provoca interventi militari di Castigliani e Portoghesi a Tétouan e a Ceuta. La fine dei Merinidi è causata da una rivolta popolare urbana legata alla rinascita del culto del primo sovrano Idriside, ma l’importanza dell’elemento tribale berbero delle campagne è dimostrata dal fatto che proprio da questo provengano i nuovi sovrani, i Wattasidi.