Almoravidi
I berberi Almoravidi (Al Murabitun), che regnarono sull’Africa settentrionale e sulla Spagna nella seconda metà dell’XI secolo e nella prima del successivo, facevano parte del gruppo dei Lamtuna, gli uomini velati, che appartenevano alla grande tribù dei Sanhadja e praticavano il nomadismo tra il Senegal e il Marocco meridionale. Il movimento almoravide ebbe origine dunque nell’Africa sub sahariana, ove si incontravano i percorsi carovanieri legati al commercio del sale e degli schiavi. Un uomo pio di quella regione, tornando dal pellegrinaggio alla Mecca, entrò in contatto con lo studioso malikita Ibn Yasin, che accompagnò per il resto del viaggio, si stabilì presso la sua tribù e organizzò un ribat, una confraternita religiosa guerriera retta da una rigidissima disciplina. Gli Almoravidi (il loro nome arabo, Al Murabitun, significa appunto “gli uomini del ribat”) costituirono il nucleo dell’esercito che, sotto la guida di un comandante designato da Ibn Yasin, conquistò un immenso territorio, corrispondente all’attuale Marocco, che comprese poi anche Tlemcen e Algeri. Nel 1070 fondarono Marrakesh e vent’anni dopo, a seguito della presa di Toledo da parte di Alfonso XIII nel 1085 e della richiesta di aiuto da parte dei sovrani dei piccoli regni islamici di Al Andalus, dopo aver conseguito importanti successi militari unificarono la penisola sotto il proprio dominio. Il loro impero si estese quindi dall’Ebro al Senegal e al Niger comprendendo entrambe le sponde dello Stretto di Gibilterra.
Il declino degli Almoravidi nel Maghreb iniziò con la presa di Marrakesh da parte degli Almohadi nel 1146/47 e con l’uccisione dell’ultimo sovrano; seguì la conquista della Spagna, iniziata già nel 1144/45, con l’aiuto dei musulmani andalusi stanchi dell’occupazione almoravide. La rigida disciplina e il puritanesimo dei primi capi si erano infatti corrotti e i governanti erano divenuti il bersaglio dei malikiti, molto influenti sul popolo. L’impero inoltre doveva affrontare anche i cristiani in Al Andalus e le tribù berbere dei Masmuda, nel sud del Marocco, che diedero origine al movimento riformista almohade; solo le Baleari e l’Ifriqiya rimasero sotto il suo dominio sino al XIII secolo.
Gli Almoravidi furono a lungo considerati dagli storici dei legalisti intolleranti, arroganti, barbari e ignoranti; oggi si attribuiscono a questa dinastia alcuni meriti non di secondaria importanza, quali l’unificazione del Marocco, la formazione di una élite militare e politica, l’assimilazione della cultura andalusa nel Maghreb, ove gli architetti venuti dalla penisola iberica realizzarono pregevoli monumenti nei grandi centri (Qayrawan, Marrakesh, Fès, Tlemcen). L’eccessivo rigorismo religioso si attenuò al contatto con la raffinata cultura andalusa e le donne, nel solco della tradizione dei Sanhadja sahariani, godevano di una grande libertà: ciò suscitò l’indignazione, tra gli altri, del primo sovrano almohade Ibn Tumart.