Gli Almohadi
L’Ifrikiya (cioè la regione che attualmente corrisponde alla Libia, alla Tunisia e a parte dell'Algeria orientale) fra il 1130 e il 1269 fu dominata dalla dinastia musulmana berbera degli Almohadi. Il loro nome deriva dall'arabo al-Muwahhidun, “coloro che professano (rigidamente) l'unicità di Allah”, in quanto seguaci di Ibn Tumart, profeta riformatore berbero che predicava contro la rilassatezza del costume pubblico e la tiepidezza nella fede. In particolare egli si scagliava contro gli Almoravidi, accusandoli di eresia. Il suo avvento costituisce il fatto più importante della storia dei Berberi.
Il successore di Ibn Tumart, ῾Abd al-Mu'min (1130-1163), assunse il titolo di califfo e fondò una dinastia che opponeva all'autorità politica e religiosa del califfo abbaside di Baghdad la dottrina almohade, rigorista e avversaria di ogni antropomorfismo teologico, nonché sostenitrice di un califfato messianico e non più arabo. Nel 1147 venne rovesciato il potere degli Almoravidi. L'impero almohade, che aveva Marrakech come capitale, si estendeva intorno al 1160, momento del suo apogeo, dalla penisola iberica al Maghreb estremo, fino a Tunisi, Sfax e Tripoli, città prese ai normanni, evento particolarmente importante perché era la prima volta nella storia islamica che un'unica dominazione teneva un territorio così vasto e composito. La forza militare almohade risiedeva nell'esercito tribale berbero e, soprattutto negli ultimi due decenni del secolo XII, nella flotta, che aveva cantieri lungo tutta la costa nordafricana.
Durante il regno di Abu Yusuf Ya῾qub al-Mansur (1184-1199), vennero consolidati i confini dell'impero e repressa l'ultima grande rivolta dei partigiani almoravidi, segnando l'ultima fase trionfante della potenza almohade. Con il suo successore, Muhammad al-Nasir, iniziò il declino politico almohade, simboleggiato dalla sconfitta del 1212 a Las Navas de Tolosa contro gli eserciti cristiani al comando di Alfonso VIII. L'impero fu scosso da ribellioni di città e defezioni di alleati, avviandosi verso una inarrestabile decadenza delle strutture politiche e amministrative. Nel 1232 il califfo al-Ma'mun (1227-1232) decretò l'abbandono dell'eterodossa dottrina almohade che sosteneva l'infallibilità del Mahdi, ossia del califfo almohade, favorendo il riallineamento dell'Islam maghrebino all'ortodossia sunnita d'indirizzo malikita, che aveva riconquistato l'egemonia dottrinale dell'Islam mediterraneo dell'epoca, come reazione alle deviazioni ereticali e all'espansione dello sciismo del secolo precedente. Di questo ritorno all'ordine, e del potere censorio riconosciuto ai giureconsulti malikiti nel territorio almohade faranno le spese, fra gli altri, i mistici Ibn al-῾Arabi e Ibn Sab῾in. Quest'ultimo, stabilitosi a Ceuta, sulla sponda nordafricana dello stretto di Gibilterra, ricevette proprio da al-Rashid, successore di al-Ma'mun, l'invito a rispondere alle questioni filosofiche inviate da Federico II di Sicilia, ma fu costretto pochi anni dopo ad abbandonare il territorio almohade, sotto le pressioni dei giureconsulti malikiti. Il ritorno all'ortodossia non scongiurò tuttavia la secessione già in atto del governatore dell'Ifriqiyya, appartenente alla famiglia hafside, che nel 1229 si dichiarò indipendente, mentre gli Abdelwadidi, in origine alleati tribali degli almohadi, dettero vita a un regime fondato sulla città di Tlemcen, nell'attuale Algeria occidentale, e i marinidi, anch'essi turbolenti alleati berberi, cominciarono a conquistare l'una dopo l'altra le grandi città del Maghreb estremo, fino a impadronirsi, nel 1269, di Marrakesh, ponendo così definitivamente termine alla dominazione almohade. Dei regni generati dalla fine dell'impero almohade, quello hafside ebbe il maggiore rilievo storico.
Sotto gli Almohadi, le università proseguono la tradizione di studio del pensiero della Grecia e di Roma antica avviato al tempo degli Almoravidi, mentre fra i numerosi filosofi ebrei e musulmani che insegnano al tempo di questa dinastia ci sono anche Averroè e Mosè Maimonide.
L'architettura fu l'attività più sviluppata, visto che le altre arti erano penalizzate dall'interpretazione coranica ortodossa, che osteggiava le raffigurazioni umane. Ciò è dovuto alla sensibilità religiosa dei musulmani, timorosi che alla riproduzione delle forme umane possa corrispondere il peccato di idolatria contro Allah, proibito dal Corano, e che nell'arte come imitazione della natura si possa intravedere il tentativo di copiare l'opera dello stesso Allah. Viene sviluppato l'arabesco come stile ornamentale universale, stilizzazione di forme vegetali e soprattutto rappresentativo di temi geometrici e simboli presi in prestito dalla calligrafia, ma è nella costruzione delle moschee che si riproducono meglio che altrove i fondamenti dell'arte islamica.
Lo stile è molto sobrio ed assume espressioni puramente moresche. Caratteristici dell'arte degli Almohadi sono i minareti a forma di torre merlata, a base quadrata e sormontati da un lanternino, mentre la decorazione dei monumenti è in stucco e pietra, a motivi esclusivamente geometrici, che conferiscono una certa magnificenza regale all'insieme. Col trascorrere dei decenni, gli edifici assunsero forme sempre più orientaleggianti: moschee con pianta rettangolare, ripartite in navate grazie all'ausilio di pilastri; grandi uso di archi a forma di ferro di cavallo. Notevolmente diffuse furono le costruzioni di fortificazioni con torri.